Eutanasia, triste ma spesso unica soluzione

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[PIRATA]^C. Jack Sparrow
icon12  view post Posted on 17/1/2010, 23:26




In Italia sono presenti ASNPV Associazione Nazionale per la tutela del malato di Psoriasi e Vitiligine Onlus, l'ADIPSO, associazione no profit che da anni lotta per la difesa dei diritti del malato psoriasico, inoltre è sorta la federazione FEDIPSOche riunisce alcune fra le più conosciute associazioni di pazienti psoriasici.
Possono essere distinti tipi diversi di eutanasia:

rispetto alle modalità di attuazione, l'eutanasia può essere attiva, qualora la morte sia provocata tramite la somministrazione di farmaci che inducono la morte - con l'utilizzo di sostanze tossiche ad esempio - oppure passiva mediante l'interruzione o l'omissione di un trattamento medico necessario alla sopravvivenza dell’individuo.
l'eutanasia è volontaria quando segue la richiesta esplicita del soggetto. Questo è possibile quando la persona è capace di intendere e di volere oppure mediante il cosiddetto testamento biologico. L’eutanasia è definita non-volontaria nei casi in cui sia una persona espressamente designata a decidere per conto di un individuo in uno stato di incoscienza o mentalmente incapace di operare una scelta pienamente consapevole fra il vivere e il morire (come nell’eutanasia infantile o nei casi di disabilità mentale).
il suicidio assistito è una forma di eutanasia attiva e volontaria in cui al suicida vengono forniti i mezzi e le competenze necessarie a porre termine alla propria vita.
Facendo riferimento in particolare al panorama legislativo italiano è utile distinguere l’eutanasia da altre pratiche e problematiche concernenti la fine della vita:

la terapia del dolore attraverso la somministrazione di farmaci analgesici, che possono condurre il malato ad una morte prematura, non è considerata una forma di eutanasia in quanto l’intenzione del medico è alleviare le sofferenze del paziente e non procurarne la morte. [1].
non si configura come eutanasia il rifiuto dell’accanimento terapeutico. Il medico, nei casi in cui la morte è imminente e inevitabile, è legittimato (in Italia sia dalla legislazione che dal proprio codice deontologico) ad interrompere o rifiutare trattamenti gravosi per il malato e sproporzionati rispetto ai risultati che è lecito attendersi.
in Italia è garantita la cosiddetta libertà di cura e terapia attraverso gli articoli 13 e 32 della costituzione. In particolare l’art. 32, 2° comma, recita: “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge“. In base a tale principio nessuna persona capace di intendere e di volere può essere costretta ad un trattamento sanitario anche se indispensabile alla sopravvivenza. Anche da un punto di vista etico la rinuncia ad un intervento necessario alla sopravvivenza si configura come suicidio e non come eutanasia.
infine non si può definire eutanasia la cessazione delle cure dopo la diagnosi di morte, in particolare dopo la diagnosi di morte cerebrale.
La definizione di eutanasia in passato
In passato sotto la definizione di "eutanasia" ricadevano anche azioni od omissioni ritenute, anche oggi, giuridicamente ed eticamente ammissibili, come la rinuncia all'accanimento terapeutico e il ricorso alle cure palliative. [1]

In particolare, l'eutanasia passiva (od omissiva) comprendeva − in passato − differenti tipologie di azioni:

L'astensione o l'interruzione di un intervento medico perché non voluto dal morente (oggi chiamata "Rifiuto delle cure").
L'astensione o l'interruzione di un intervento medico perché ritenuto futile o configurante accanimento terapeutico (oggi chiamata "Desistenza terapeutica" o "Rinuncia all'accanimento terapeutico").
L'astensione o l'interruzione arbitraria di un intervento medico per facilitare il morire di una persona (oggi è solo quest'azione a venire chiamata "eutanasia passiva").
L'eutanasia indiretta corrispondeva, invece, al ricorso alle cure palliative, che possono comprendere l'uso di analgesici e sedativi in quantità tali da comportare − come effetto secondario e non desiderato − l'accorciamento della vita del paziente.
Il filosofo inglese Francis Bacon introdusse il termine "eutanasia" nelle lingue moderne occidentali nel saggio Progresso della conoscenza (Of the Proficience and Advancement of Learning, 1605). In questo testo, Bacon invitava i medici a non abbandonare i malati inguaribili, e ad aiutarli a soffrire il meno possibile. Non vi era però, nell'idea di Bacon, il concetto esplicito di dare la morte. Allo stesso termine "eutanasia" Bacon attribuiva solo il significato etimologico di "buona morte" (morte non dolorosa); lo scopo del medico doveva essere quello di far sì che la morte (comunque sopraggiunta in modo "naturale") fosse non dolorosa.

Il termine iniziò ad avere corso comune a partire dalla fine del XIX secolo, a indicare un intervento medico tendente a porre fine alle sofferenze di una persona malata. In tale periodo emerse esplicitamente il concetto di "uccisione per pietà" (talora - anche se non sempre - identificabile con la fattispecie dell'omicidio del consenziente) come pratica non riprovevole in linea di principio.
La questione della correttezza morale della somministrazione della morte è un tema controverso fin dagli albori della medicina. Nel Giuramento di Ippocrate (circa 420 a.C.) si legge: Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo. D'altra parte, nel mondo classico, in determinate condizioni, il suicidio (e l'assistenza allo stesso) era spesso considerato con rispetto. Simili indicazioni etiche e deontologiche si possono rintracciare nel primo corpus legislativo della storia, il Codice di Hammurabi. Nell'Antico Testamento viene citato il caso di un suicidio assistito: quello del Saul (II Samuele 1,6-10): un soldato uccide Saul su sua richiesta; ma David in seguito condanna quel soldato a morte per omicidio. Le correnti di pensiero nell'ambito della filosofia morale più diffuse in epoca classica pre-cristiana, cioè l'epicureismo e lo stoicismo, consideravano il suicidio in linea di massima come un atto eticamente accettabile e degno di rispetto, in determinati contesti, senza trattare l'eutanasia medica come tipologia specifica. Erano citati esempi considerati ammirevoli come suicidio di Socrate e quello di Seneca
Nella Bibbia non si trovano riferimenti espliciti alla pratica dell'eutanasia in quanto tale, poiché non praticata negli ambienti semitici ove la Scrittura è nata. Le posizioni etiche attuali, ispirate dalla Bibbia, poggiano sui principi di inviolabilità della vita umana, sulla dignità di ogni persona in quanto creata ad immagine e somiglianza di Dio e sulla dignità ed il valore salvifico della sofferenza liberamente accettata ed offerta
Il programma eugenetico nazista Aktion T4 fu anche chiamato «programma eutanasia», espressione che venne utilizzata allora da molti di coloro che erano coinvolti in quest'operazione, ma non può essere considerata a tutti gli effetti eutanasia: non prevedeva infatti il consenso dei pazienti, ma la soppressione contro la loro volontà. Il programma non era poi motivato da preoccupazione per il benessere dell'ammalato, come il desiderio di liberarlo dalla sofferenza, l'Aktion T4 veniva invece portato avanti principalmente a scopo eugenetico, per migliorare l'«igiene razziale» secondo l'ottica dell'ideologia nazista allora imperante. Mirava inoltre a diminuire le spese sanitarie ed assistenziali statali, considerando che le priorità economiche erano rivolte ad altre voci come il riarmo militare. Il programma fu definito dai contemporanei come una «eutanasia sociale».[2] A fronte di una grande opposizione interna il programma fu ufficialmente abbandonato nell'estate del 1941.

L'idea di ricorrere all'eugenetica si ripropose già all'inizio dell'anno successivo, con l'insuccesso dell'Operazione Barbarossa, questa volta in un contesto militare. Le notevoli difficoltà che la Wehrmacht incontrava durante la campagna sul fronte orientale indusse i comandi a prevedere dei «gruppi di eutanasia» il cui compito era «aiutare i soldati feriti». Anche su questo programma i vertici nazisti cercarono di stendere il velo della segretezza. Nelle ultime fasi del Terzo Reich testimonianze dirette riportano addirittura, che nella propaganda fosse prevista una sorta di eutanasia di stato, chiamata dai burocrati del regime «morte indolore mediante gas», da preferirsi nettamente al cadere in mano sovietica.
Scelta: la scelta è un fondamentale principio democratico. L'idea che il cittadino sia libero nelle sue opinioni e nel suo voto presuppone che egli sia anche sovrano su una sfera privata, dove i suoi valori di coscienza sono insindacabili [4]
Qualità della vita: il dolore e la sofferenza che una persona sperimenta durante una malattia può risultare incomprensibile, anche se trattata con analgesici, ad una persona che non c'è passata attraverso, la decisione pertanto non può spettare ad un terzo. Anche senza considerare il dolore fisico, è spesso difficile per i pazienti far fronte alla sofferenza psichica per aver perso la loro indipendenza. La società non dovrebbe forzarli a sopportare queste difficoltà.[4]
Ragioni contro l'eutanasia volontaria
Giuramento di Ippocrate: ogni dottore deve giurare su qualche variante di esso, ma la versione originale esclude esplicitamente l'eutanasia.
Morale: per alcune persone l'eutanasia di alcuni o di tutti i tipi è moralmente inaccettabile.[4] Questa visione di solito vede l'eutanasia come un tipo di omicidio e l'eutanasia volontaria come un tipo di suicidio, la moralità del quale è oggetto di vivo dibattito.
Teologica: molte religioni e moderne interpretazioni religiose considerano esplicitamente sia l'eutanasia che il suicidio come atti peccaminosi (vedi Eutanasia e religione).
Piena consapevolezza: l'eutanasia può essere considerata "volontaria" soltanto se il paziente è pienamente consapevole per prendere la decisione, cioè, se ha una comprensione razionale delle opzioni e delle loro conseguenze. La piena consapevolezza può essere difficile da determinare o addirittura da definire.[4]
Necessità: se c'è qualche ragione per credere che la causa della malattia o della sofferenza di un paziente è o sarà presto risolvibile, a volte la cosa giusta da fare sembra quella di provare ad iniziare una nuova cura o dedicarsi a cure palliative.[4]
Desideri della famiglia: i membri della famiglia spesso desiderano passare più tempo possibile coi loro cari prima che muoiano.
Pressione: tutti gli argomenti elencati a favore dell'eutanasia volontaria possono essere utilizzati dal personale ospedaliero per esercitare una pressione psicologica terribile e continua sulle persone per farle acconsentire all'eutanasia volontaria.[5] Nei paesi con un sistema sanitario simile a quello del Regno Unito, il personale ospedaliero avrebbe degli obiettivi da raggiungere. Alcune persone vedono questa eventualità come una prospettiva terrificante
L'eutanasia è oggetto di vivo dibattito e al centro di accese controversie in ambito morale, religioso, legislativo, scientifico, filosofico, politico ed etico.

Distinzioni preliminari
Una prima distinzione di massima si può tracciare tra le seguenti posizioni:

dal punto di vista giuridico, morale e religioso vi è chi tende a considerare l'eutanasia attiva una fattispecie assimilabile all'omicidio. Anche dal punto di vista della deontologia medica qualche complicazione concettuale sorge dalla non semplice riconducibilità dell'eutanasia attiva ai concetti fondanti della medicina, diagnosi e terapia;
riguardo all'eutanasia passiva vi è chi pone in evidenza la sostanziale diversità - nel modo "naturale" con cui avviene la morte - rispetto all'eutanasia attiva (bisogna anche aggiungere, per completezza di trattazione, che molti tendono a non considerare "eutanasia" quella passiva, consistendo tale pratica - in gran parte dei casi - solo nell'astensione a praticare terapie nel pieno diritto - sancito dalla legge - da parte del malato di rifiutarle);
c'è una netta tendenza alla diversità di approccio sull'argomento tra gli ambiti religioso e morale, da un lato, e quello giuridico dall'altro. Le posizioni bioetiche ufficiali della Chiesa Cattolica, ad esempio, esprimono l'idea che non vi è alcuna distinzione tra eutanasia passiva ed eutanasia attiva e che queste forme devono essere considerate moralmente identiche. Al contrario nella giurisprudenza e nel codice di deontologia medica i due casi devono essere considerati in modo nettamente diverso: la Legge, infatti, proibisce ad un medico di compiere terapie senza il consenso del paziente, quindi ulteriori limiti e divieti si possono porre solo sull'eutanasia attiva, mentre non può si può fare nulla riguardo all'eutanasia passiva che di fatto può essere "garantito" dai diritti del paziente.
anche il dibattito sul c.d. "suicidio assistito" non è esente da distinguo o assimilazioni: mentre, ad esempio, esso viene considerato da taluni analogo all'eutanasia passiva (in quanto mezzo per procurare la morte), esso è una forma "intermedia" che nondimeno mantiene una sostanziale differenza rispetto all'eutanasia attiva, in quanto non prevede, da parte del soggetto assistente, alcuna partecipazione diretta alle azioni che conducono alla morte del richiedente (anche qui varrà la pena di ricordare che, comunque, la fattispecie di assistenza a un suicidio può configurarsi come reato a sé stante, come spiegato più avanti);
appare largamente condivisa comunque una discriminante fra la situazione di persone che chiedono l'eutanasia in quanto malati terminali, e quelle che invece, pur non essendo prossime alla morte, la richiedono la pratica per porre fine a sofferenze insostenibili di vario tipo e non sufficientemente trattabili da alcuna terapia del dolore;
altrettanto condivisa - e, in talune forme, anche recepita nella pratica giurisprudenziale e giurisdizionale - appare la discriminante tra persone che richiedano l'eutanasia in condizioni di piena capacità di intendere e di volere (indipendentemente dal fatto che abbiano la possibilità materiale di attuare praticamente il proposito, vedi il caso-Welby) rispetto a coloro che si trovino in situazioni di incoscienza irreversibile (coma, stato vegetativo persistente) e, comunque, incapaci di esprimere qualsivoglia volontà;
abbastanza recepita anche nell'attività giurisdizionale appare anche la distinzione circa la preterintenzionalità o meno dell'azione che causa la morte: per esempio, il decesso sopravvenuto a causa di effetti collaterali (o sovradosaggio resosi necessario a causa di assuefazione a dosi più basse) di un farmaco, è talora trattato in maniera differente da quello che fa seguito alla somministrazione di qualsivoglia sostanza allo scopo primario di procurare la morte; talvolta più dibattuto il caso di sospensione dell'alimentazione che, a seconda degli orientamenti e dei punti di vista, può essere considerata eutanasia passiva ovvero attiva.
Posizioni politiche italiane
Nel marzo 2006 l'allora ministro italiano dei Rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi dichiarò che «…la legislazione nazista e le idee di Hitler in Europa stanno riemergendo, per esempio in Olanda, attraverso l'eutanasia e il dibattito su come si possono uccidere i bambini affetti da patologie»[7]. La dichiarazione diede luogo a un contenzioso diplomatico, a seguito del quale l'ambasciatore italiano nei Paesi Bassi fu formalmente convocato dal governo[8][9] dell'Aja per dare spiegazioni. Il ministro in seguito chiarì di aver parlato a titolo personale e non a nome del governo; vari esponenti della sua coalizione hanno comunque difeso il suo pronunciamento. La dichiarazione di Giovanardi fu, altresì, oggetto di pesanti critiche, tra cui quelle di Daniele Capezzone, allora segretario dei Radicali italiani, che chiese formalmente le dimissioni del ministro, e quelle di 46 europarlamentari, che ne chiesero le dimissioni dal parlamento europeo.[8]

Il 22 settembre 2006 Piergiorgio Welby (copresidente dell'Associazione Luca Coscioni, che si batte per il diritto dei malati a decidere della propria sorte, nonché per la libertà di ricerca scientifica), affetto da distrofia muscolare, in una lettera aperta[10] al presidente della Repubblica ha chiesto il riconoscimento del diritto all'eutanasia. Napolitano ha risposto[11] auspicando un confronto politico sull'argomento.

Più in generale si poterono individuare in seno al Parlamento tre aree, trasversali agli schieramenti politici, aventi tre posizioni differenti sull'argomento-eutanasia:

un'area contraria, che va da gran parte del centro-destra, che oggi forma, in maggioranza, il Popolo della Libertà (in particolare in seno ad AN, ma anche nel UDC, contraria per la propria cultura cattolica) e frange di Forza Italia e della Lega Nord) ai cattolici del centro-sinistra (l'UDEUR e La Margherita) i quali affrontano la questione dell'eutanasia secondo i principi morali (spesso di base religiosa) sui quali si fondano gli stessi partiti arrivando ad assumere una posizione fermamente contraria riguardo al problema; anche gran parte dei movimenti di destra si è detta contraria;
un'area "possibilista", costituita in gran parte dagli ex Democratici di Sinistra, la quale si trova nell'esigenza di dare risposte alla base laica del suo elettorato e al contempo convivere nella coalizione di governo con gli altri partiti, alcuni dei quali di ispirazione cattolica come la Margherita, con cui i Ds si sono uniti nel 2007 nel Partito Democratico. La posizione di quest'area (tranne sporadiche eccezioni) è quella di procedere per gradi e affrontare temi meno controversi come il testamento biologico, pur non escludendo a priori il dibattito sull'eutanasia, rimandato a un momento di minore conflittualità ideologica sulla materia. Anche alcuni esponenti della Lega Nord hanno manifestato una posizione simile.
un'area favorevole, che andava dal gruppo Rosa nel Pugno (cioè gli attuali socialisti e Radicali Italiani) e la sinistra massimalista (Comunisti Italiani, Rifondazione Comunista e Verdi) fino a esponenti di entrambi gli schieramenti: liberali della coalizione di centro-sinistra ma anche di destra (Riformatori Liberali), repubblicani della coalizione di centro-destra (es. Antonio Del Pennino), laici dentro Forza Italia (es. l'ex socialista Chiara Moroni). Tale area caldeggia un dibattito sull'eutanasia e l'allineamento dell'Italia alle legislazioni europee più favorevoli all'eutanasia, segnatamente quella dei Paesi Bassi.
La battaglia delle associazioni che si battono per una regolamentazione dell'eutanasia in senso non restrittivo si rivolge, oltre che - ovviamente - sulla richiesta della sua legalizzazione, anche sulla liceità e sul valore legale della sottoscrizione, da parte di chiunque, di cosiddette "dichiarazioni" (o "direttive") "anticipate" qualora questi, in futuro, si venisse a trovare nell'impossibilità di opinare sulle cure ricevute.

Oggi le posizioni sono rimaste pressoché le stesse.
Il Comitato nazionale per la bioetica (CNB) ha discusso ed effettuato ricerche su varie problematiche legate all'eutanasia e al rispetto delle volontà del malato. Fra i documenti del CNB più attinenti alla tematica del trattamento di quelle fasi in cui il malato non può esprimere volontà si citano:

le Dichiarazioni anticipate di trattamento (talora anche chiamate Direttive anticipate) [12] del 18 dicembre 2003;
Tale documento tratta la natura delle c.d. "dichiarazioni anticipate": vi si affrontano aspetti tecnico-legali quali la validità delle stesse, la vincolatività - se cioè debbano essere considerate obbligatorie od orientative - l'efficacia delle direttive anche a distanza di anni tra la loro stesura e l'eventuale attuazione di quanto in esse disposto, l'opportunità per il dichiarante di nominare anche un fiduciario che garantisca per l'attuazione delle direttive anticipate.
L'alimentazione e l'idratazione dei pazienti in stato vegetativo persistente [12] del 30 settembre 2005.
In questo documento (composto poco dopo la morte di Terri Schiavo) la relazione di maggioranza (2/3)[13] descrive la PEG (alimentazione e idratazione con sondino) come non assimilabile al caso di accanimento terapeutico.
Infine, l'eutanasia è materia d'insegnamento nei corsi di bioetica clinica, nella branca della bioetica; a partire dal (2005) sono in attivazione corsi al riguardo in tutte le facoltà di medicina italiane. Essi prevedono programmi con insegnamenti di etica allo scopo di formare degli operatori in grado di dibattere il problema con cognizione di causa.
Diverse religioni hanno preso posizione riguardo l'eutanasia, sebbene le posizioni siano divergenti o talora diametralmente opposte.


La Chiesa cattolica è contraria ad ogni forma d'eutanasia, attiva od omissiva, mentre incoraggia il ricorso alle cure palliative e ritiene moralmente accettabile l'uso di analgesici, per trattare il dolore, anche qualora comportino − come effetto secondario e non desiderato − l'accorciamento della vita del paziente. Consente invece di sospendere, dietro richiesta del paziente, procedure mediche che risultino onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi; vale a dire che configurino accanimento terapeutico. Tale posizione è confermata nei paragrafi 2277, 2278 e 2279 del Catechismo. [14] La Chiesa insegna inoltre che le cure che d'ordinario sono dovute all'ammalato, come l'idratazione e la nutrizione artificiale, non possono essere sospese qualora si preveda come conseguenza la morte del paziente per fame e per sete. Si configurerebbe, in questo caso, una vera e propria eutanasia per omissione. [15]


Le Chiese Riformate, anche a causa della loro particolare struttura gerarchica, hanno spesso posizioni interne più variegate ed elastiche.
Il movimento culturale per la difesa dei diritti dei disabili [16] ha fin dalla sua nascita negli Stati Uniti agli inizi degli anni 70 contrastato la legalizzazione dell'eutanasia [17] Sulla sua scia organizzazioni di disabili espressamente dedicate a contrastare culturalmente e politicamente l'eutanasia sono nate durante gli anni 90. È il caso della statunitense Not Dead Yet [18] e di Care Not Killing [19], una rete di oltre 40 associazioni inglesi. Posizioni analoghe sono sostenute da associazioni di disabili Svedesi [20] e Australiane [21]. Alla base del rifiuto c'è la considerazione che le motivazioni che spingono una persona all'eutanasia potrebbero essere legate più al loro status e condizione sociale che alla loro sofferenza e condizione fisica. In questo senso l'influenza negativa sulla qualità di vita della propria famiglia impegnata economicamente e personalmente nell'accudimento, lo status negativo riservato agli elementi non produttivi dalle culture occidentali e i diffusi e persistenti pregiudizi sociali potrebbero essere considerazioni sufficienti a dettare la scelta suicidaria
 
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